Non è eccezionale leggere nelle cronache locali di giovani apparentemente sani che durante la pratica di attività sportiva sono stati colpiti da arresto cardiaco, evento che nel caso si manifesti in atleti di alto livello, come il calciatore Eriksen, o il ciclista Corbelli, tanto per ricordare due dei casi più recenti, hanno una elevata risonanza mediatica.
L’attività fisica è pericolosa per il cuore?
I fatti accaduti hanno contribuito a generalizzare il concetto che l’attività fisica possa essere pericolosa per il cuore.
Prima di entrare nello specifico, bisogna innanzitutto sottolineare che i benefici dell’attività fisica praticata con regolarità superano di gran lunga i rischi ad essa connessa. A questo proposito basti ricordare come le principali società scientifiche cardiologiche consiglino l’esercizio fisico in presenza di diverse patologie cardiache prima fra tutte l’ipertensione arteriosa per la quale la pratica di una regolare attività aerobica rappresenta uno dei cardini della terapia.
Fatta questa doverosa premessa, non si può negare che in determinate situazioni, la pratica della attività sportiva in particolare se intensa, possa essere effettivamente pericolosa per il cuore.
E’ questo il caso delle così dette cardiopatie “silenti o occulte”, patologie che possono sfuggire alla diagnosi sino al momento in cui diventano sintomatiche per episodi aritmici pericolosi per la vita. Queste patologie hanno tutte in comune il fatto che rendono instabile l’attività elettrica del cuore in particolare in seguito a sforzi di una certa intensità innescando così l’insorgenza di aritmie gravi.
A queste “cardiopatie occulte” appartengono: le malattie elettriche primitive tra le quali sono preminenti le canalopatie ossia quelle patologie che alterano il funzionamento dei “cancelli”(canali) che regolano i flussi di corrente a livello della cellula cardiaca; le cardiomiopatie (malattie della fibra muscolare) e tra queste in particolare la forma ipertrofica e la displasia aritmogena e le anomalie di origine e decorso delle arterie coronarie. Quest’ultime in corso di esercizio possono causare una riduzione dell’apporto di ossigeno ad alcuni distretti del cuore causando un’ischemia la cui prima conseguenza è lo sviluppo di aritmie.
Queste patologie “occulte” sebbene siano rare avendo una incidenza che varia da 1 ogni mille a uno ogni 500 individui, risultano essere la principale causa della morte improvvisa giovanile la cui incidenza è di 1 soggetto ogni 100.000.
E’ molto importante ricordare che le canalopatie, la cardiomiopatia ipertrofica e la displasia aritmogena sono geneticamente determinate, ossia sono dovute a dei geni malati che vengono usualmente ereditati dai genitori, nei quali la malattia potrebbe anche non essere manifesta; più raramente infatti la mutazione del gene può avvenire per la prima volta nel soggetto affetto.
Le patologie cardiache possono essere riconosciute anticipatamente e quali soni i campanelli d’allarme?
Nonostante che siano “silenti”, queste patologie possono essere sospettate utilizzando due strumenti semplici: la raccolta precisa dei dati anamnestici e l’elettrocardiogramma.
Così la presenza di famigliari noti portatori di patologie cardiache ereditarie o deceduti improvvisamente in età giovanile (entro i 30 anni di vita), oppure una storia di sincopi e/o dolore toracico diffuso in particolare durante l’ attività fisica, dovrebbero suonare come campanelli di allarme e far avviare una serie di approfondimenti diagnostici atti a confermare o escludere queste patologie “occulte”.
Tra i vari accertamenti l’elettrocardiogramma è il primo che dovrebbe essere eseguito. Questa metodica diagnostica semplice e di basso costo consente di registrare in modo fedele l’attività elettrica del cuore e quindi rilevare quelle anomalie che sono sospette per la presenza di patologie potenzialmente pericolose.
L’importanza dell’elettrocardiogramma è confermata dalla dimostrazione che in Italia la morte improvvisa negli atleti si è ridotta dell’84% dal momento in cui, nell’ambito della visita medico sportiva, è stata introdotta di routine l’esecuzione di questa metodica diagnostica.
Qual’è il ruolo delle medicina dello sport?
La medicina dello sport ha un ruolo centrale nella prevenzione e questa può essere ulteriormente potenziata dall’estensione dell’esecuzione di un elettrocardiogramma a tutti i soggetti in età scolare. A questo proposito è importante ricordare che è sufficiente un singolo elettrocardiogramma e non è necessario che venga ripetuto annualmente come invece avviene nell’ambito della certificazione per l’idoneità agonistica.
Molti bambini hanno già eseguito nei primi mesi di vita un elettrocardiogramma, ma questo non è sufficiente, in quanto alcune delle patologie sopra ricordate iniziano a dare segni di sè a partire dall’età preadolescenziale/adolescenziale, che rappresenta anche il momento in cui è maggiore l’incidenza di eventi avversi.
Rimane poi il problema di come comportarsi nei giovani con patologie cardiache note, spesso si tratta di soggetti con cardiopatie congenite operate. Come inizialmente ricordato l’attività fisica è spesso raccomandata nel paziente “cardiopatico”; ma il tipo e l’entità dell’esercizio devono essere individualizzati in base al quadro emodinamico ed elettrico presente e obiettivato da una valutazione cardiologica completa e approfondita.
La grande maggioranza di questi bambini e adolescenti dal punto di vista strettamente cardiologico, potrebbe praticare la maggior parte delle attività sportive, che nell’ambito dell’età pediatrica sono svolte con finalità essenzialmente ricreative. La legislazione però impone che a partire dai 12 anni di età per poter praticare la maggior parte degli sport è necessaria l’idoneità agonistica che può essere rilasciata esclusivamente dal medico dello sport. Nell’ambito della medicina sportiva vi sono regole stringenti che nella maggior parte dei casi portano a negare l’idoneità a questo tipo di soggetti, con ripercussioni soprattutto psicologiche importanti in una età delicata come quella evolutiva.
Inoltre la inidoneità solleva incertezze anche su come debba essere gestita l’attività fisica nella quotidianità che spesso viene così fortemente limitata.
Per risolvere questa problematica, è necessaria una ridefinizione dei criteri di certificazione che tenga presente anche le modalità con cui viene praticata l’attività sportiva; un conto è infatti il soggetto che si sottopone ad allenamenti plurisettimanali prolungati e intensi (il vero agonista) e un conto è il ragazzino che partecipa ad attività di avviamento allo sport come per esempio la scuola calcio.
In conclusione lo sport non fa male al cuore purché prima della sua esecuzione venga eseguita una valutazione attenta dove l’anamnesi e l’elettrocardiogramma sono pilastri diagnostici irrinunciabili. Lo stesso vale per il soggetto noto cardiopatico dove l’attività fisica dovrebbe essere permessa individualizzandola e mettendo dei limiti laddove il quadro clinico lo renda necessario.